progetto fotografico

Progettare degli scatti è un po’ come scrivere: se metto nero su bianco un pensiero lo rendo tangibile, concreto. Mi serve per fare chiarezza e per raccogliere le idee che così escono dalla testa e prendono forma sulla carta.

La fotografia è un linguaggio

Il linguaggio è la facoltà dell’uomo di comunicare ed esprimersi per mezzo di suoni articolati, organizzati in parole, atte a individuare immagini e a distinguere rapporti secondo convenzioni implicite, varie nel tempo e nello spazio.

Treccani

Quando parliamo individuiamo delle immagini. E, viceversa, comunicare con le immagini è un po’ come costruire un discorso. Qualcuno è più bravo di altri a improvvisare ma, in ogni caso, se non so bene cosa voglio dire, con ogni probabilità il mio messaggio sarà poco efficace.

Anche quando fotografo, se non ho bene in testa dove voglio andare a parare difficilmente i miei scatti saranno buoni. Per questo prima di prendere in mano la macchina fotografica e scattare preferisco fare una serie di ragionamenti a monte.

L’inizio di una storia

Se si vuole raccontare una storia con un capo e una coda è utile prima di tutto avere qualcosa da dire, cosa non così banale. Stabilire un tema e delineare una trama, un canovaccio, per dirla in gergo teatrale.

Se a comporre la storia non sono frasi e parole ma frame e immagini per dar loro senso e coerenza quello che mi serve è un progetto ben strutturato. Il fil rouge può essere la scelta del soggetto, dell’illuminazione, dell’inquadratura, del punto di ripresa, del trattamento dei colori o la ripetizione di un particolare.

Ci sono davvero molti modi per raccontare una storia e dare continuità alle immagini, devo solo scegliere come. Il progetto serve proprio a questo: per stabilire uno scopo e scegliere l’approccio – stilistico, tecnico e formale – da seguire.

L’idea non basta

Avere qualcosa da dire non basta, bisogna anche capire come esprimerla. L’intuizione iniziale, per arrivare da qualche parte, ha bisogno di binari su cui correre. Questo non vuol dire che lungo la via non ci sia spazio per l’improvvisazione, ma i cambi di direzione devono essere piccoli aggiustamenti di rotta, non stravolgimenti. Se no l’idea si perde per strada e non si arriva da nessuna parte.

Dritti al punto

Per non perdersi serve sapere dove si vuole arrivare. In realtà questo, vale un po’ per tutto ma, rimaniamo in tema di progetti fotografici…

Se rispondo ad alcune precise domande mi è molto più semplice arrivare a destinazione.

Perché sto scattando queste immagini?

Mi aiuta a capire quale messaggio porteranno con sé. Sapere a cosa servono, cioè, qual è la mia intenzione: voglio descrivere, vendere, raccontare, persuadere, ispirare o informare?

Se penso di fotografare lo stesso soggetto, qualsiasi soggetto, con scopi diversi le immagini che ne usciranno saranno molto diverse fra loro.

Qual è il contesto?

Il contesto di riferimento può essere duplice. Contestualizzare l’immagine può voler dire collocarla nel tempo e nello spazio, come nel caso di un reportage fotografico: far capire dove e quando sono state scattate le immagini è fondamentale per la storia che si vuole raccontare.

Ma c’è anche un altro contesto di cui tenere conto, cioè: dove verrà vista l’immagine?

È destinata alle pagine di una rivista o finirà all’interno del booklet di un cd? È pensata per una mostra d’arte o per internet?

Per esempio, su Facebook per i post funzionano meglio le immagini orizzontali, mentre l’immagine profilo sarà visualizzata all’interno di un quadrato. Se scattiamo un’immagine da pubblicare su Instagram sappiamo bene che il formato standard è il quadrato, almeno nella gallery. Non sempre le immagini funzionano sia in orizzontale che con taglio quadrato: quindi, per essere sicuri di far rientrare tutte le informazioni importanti all’interno del formato scelto, è utile fare questa considerazione prima di scattare.

A chi sono destinate?

Il contesto è indissolubilmente legato al pubblico: il messaggio è sempre diretto a qualcuno e sapere con chi sto parlando mi aiuta a scegliere il registro preferendo, per esempio, un tono formale a uno più colloquiale. Stessa cosa con le immagini: se devo illustrare un libro per bambini l’immagine che sceglierò per trattare il tema della maternità sarà ben diversa da una destinata a una rivista di medicina.

Oppure pensiamo a quanti modi ci sono per ritrarre una persona: in modo artistico o con taglio documentaristico, più formale per la foto da apporre al curriculum o in una posa più rilassata per le foto di famiglia.

Qual è la posta in gioco?

Qual è la posta in gioco è la domanda che si pone Jörg Colberg per distinguere un’immagine puramente decorativa da qualcosa di significativo.

Proprio come un Rasoio di Occam, una domanda come questa riesce a tagliare efficacemente un sacco di roba.

Colberg si riferisce soprattutto alle immagini realizzate in ambito artistico e sono d’accordo con lui quando dice che

se c’è qualcosa in gioco per l’artista ci sono buone possibilità che ci sia qualcosa in gioco pure per lo spettatore. Il risultato finale sarà uno scambio, nel quale entrambi finiscono per diventare persone diverse. […] L’arte non dovrebbe lasciarci inalterati. L’arte ha bisogno di smuoverti, di cambiarti!

(S)cambio

Non tutti i progetti fotografici hanno la pretesa – o la volontà – di elevarsi ed essere considerati Arte con A maiuscola. Ma l’idea di scambio e di cambiamento definita da Colberg mi colpisce molto e credo possa essere applicata a qualsiasi progetto, non solo a quelli prettamente artistici.

È quello che cerco di tenere sempre a mente quando progetto, per esempio, un servizio fotografico di branding: voglio aiutare chi guarda e chi è guardato a cambiare punto di vista; a vedere – e vedersi – in modo diverso. Trasformando quello che conosciamo – o che pensiamo di conoscere – in qualcosa di nuovo.

Il progetto fotografico: la sintesi di un’idea

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