A otto anni volevo essere un’insegnante d’asilo.
A quattordici anni mi piacevano le proiezioni ortogonali e mi era passata per la testa l’idea di fare l’arredatrice d’interni.
Ho poi optato per l’informatica, perché in quel momento mi sembrava il mestiere del futuro. Ma ho ben presto capito che non sarebbe stata la mia strada.
A quel punto però avevo già iniziato a frequentare un istituto tecnico e per non cambiare del tutto scuola, ho scelto l’indirizzo più creativo tra quelli a disposizione: l’area moda. Ne sono uscita consapevole che non avrei mai disegnato né tessuti né abiti. Perché la moda e il disegno tessile mi piacevano ma non mi sentivo così portata.
Che fare dunque? Beh, che domande. La fotografa, no?!
Unire i puntini
Ripensando al mio percorso fin qui, se da una parte mi sembra di essere saltata di palo in frasca, dall’altra la mappa è segnata da rotte tratteggiate e in qualche modo collegate. Tutto sommato, anche le strade non intraprese non sono così distanti dalla persona che sono, da quello che mi piace e che ispira il mio modo di essere e di vedere di oggi.
Esplorare il mondo con curiosità
Dell’insegnante d’asilo ho l’amore per i bambini e per il loro sguardo curioso. Per la creatività e la fantasia: quella straordinaria capacità di trasformare una scatola di cartone in un’astronave.
Il loro modo di pensare è qualcosa da portare con sé anche da grandi, per ricordarsi di coltivare lo stupore, di non smettere mai di farsi domande e di avanzare per il mondo come impavidi esploratori della vita.
Spazi pieni. Spazi vuoti
Della designer d’interni ho la passione per le cose di casa in genere. E per le geometrie degli ambienti, intesi come luoghi che raccontano la storia di chi li vive (o li viveva).
Mi piacciono gli oggetti e le superfici materiche. Le aree abbandonate e i colori polverosi. Il vecchio che si rinnova senza dimenticare. Le simmetrie, le linee curve in dialogo con gli spigoli rigorosi e l’equilibrio che si crea tra spazi pieni e spazi vuoti.
Sintesi e connessioni
Dell’informatica di sicuro mi è rimasta una certa predisposizione all’uso del computer, visto che ci passo sopra un sacco di tempo! ;)
Ma penso anche alla propensione per l’elaborazione dei dati, l’analisi e la sintesi. E per le connessioni. Perché la comunicazione – visiva e non – è fatta di collegamenti rapidi, in un botta e risposta binario e continuo. Input, output. Uno, zero. On, off. Luci e ombre.
Sognare a occhi aperti
Per il mondo della moda nutro un po’ un amore-odio, in realtà.
Di certo non amo l’esaltazione dell’apparenza, l’omologazione, l’ostentazione del lusso, il consumismo sfrenato e le scelte poco etiche.
Mi affascina, invece, la capacità di creare un sogno a partire dalla realtà. Ché non si tratta solo di vendere un abito ma di far passare qualcosa in più.
Si tratta di creare una storia, di trasmettere un’atmosfera magica, un’allure, fatta di trame e desideri che mette radici nel bisogno di sentirsi un po’ speciali e di esprimere se stessi anche attraverso quello che si indossa.
E questo vale per qualsiasi altro prodotto (o servizio). Perché amiamo le storie, ne abbiamo bisogno.
Questa, per esempio, è un po’ della mia, di storia. Posso raccontarla così. Oppure attraverso le immagini.
Così come, con le immagini, posso raccontare anche un pezzo della tua storia. Del tuo prodotto, della tua attività.
Bagagli e ispirazioni
Continuo a unire i puntini con un po’ di cose da leggere e guardare. Le ho incontrate lungo la strada e mi son servite per allargare la mente e allenare lo sguardo, come piace a me.
- “La pubblicità” di Annamaria Testa, un piccolo libro su cui ho basato in pratica tutta la mia tesi di laurea. Pieno di spunti utili, come sempre quando si parla di Annamaria Testa, che qui spiega come (e quanto) le emozioni e il desiderio sottendano alle decisioni di acquisto.
- “Filosofia della moda” di Lars Fr. H. Svendsen, un saggio filosofico sulla moda e sulla costruzione dell’identità attraverso gli abiti visti come l’immediata prosecuzione del nostro corpo.
- “Pictures” di Tim Walker. Lui rimane in assoluto tra i miei fotografi di moda preferiti. Dei suoi scatti mi piacciono le scenografie da sogno, l’immaginario da fiaba e le atmosfere sospese, senza tempo.
- “Detour” di Michel Gondry. È un corto girato con l’Iphone dal regista visionario di “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” (titolo sfortunatamente tradotto in italiano con “Se mi lasci ti cancello”). Da guardare anche “L’arte del sogno”, “Microbo e Gasolina” e il suo canale Instagram.
- “Mister G” di Gilbert Garcin. Un amabile pensionato che utilizza il fotomontaggio, alcuni materiali di recupero e fotografa il tutto in un bianco e nero minimalista. Mescolando con ironia il teatro dell’assurdo e la poetica surrealista dà vita a un signor nessuno: un eroe tragicomico talmente anonimo da poter essere ognuno di noi.
- “Still Life” di Luigi Ghirri. Il fotografo emiliano rivoluziona la fotografia esplorando la banalità, dei luoghi e degli oggetti. Tentando di vedere ogni cosa come se fosse la prima volta. E proprio in questi giorni lo troviamo in mostra al Jeu de Paume di Parigi (a proposito di prime volte).
- “Vestige d’empire” di Thomas Jorion. Sulle tracce dell’imperialismo francese tra spazi abbandonati e pezzi di un passato glorioso. In viaggio alla scoperta di un patrimonio architettonico dimenticato.
- “L’isola dei cani” di Wes Anderson. Ma anche “Moonrise Kingdom”, “Grand Budapest Hotel”, “Il treno per il Darjeeling”, “I Tenembaum”. E che dire di questo account Instagram?! Eh già, anche io vorrei vivere in un film di Wes Anderson.
- “La via del disegno brutto” di Alessandro Bonaccorsi. Un percorso pratico e divertente per riscoprire il piacere di disegnare. Anche da adulti e anche se si pensa di non esserne capaci. Il libro, a dire il vero, non l’ho ancora comprato, ma ho frequentato il corso l’anno scorso e mi è piaciuto un sacco!
“Tu non fai una fotografia solo con la macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato.” Ansel Adams